Tutti coloro che iniziano il cammino di ricerca interiore che accompagna la Massoneria dagli albori, hanno l’aspirazione di raggiungere il cosidetto “Massimo Segreto Massonico”. Questo argomento ha sempre ammantato di mistero la traduzione muratoria. L’argomento è complesso, prima di tutto perché non esiste conoscenza o formula rivelata, che per il fatto di conoscerla o pronunciarla comunichi per se stessa un potere o una sapienza. A meno di non aver già raggiunto attraverso altre strade un livello iniziatico tale per cui si è ottenuto un trasmutazione umana tale che ogni parola diventa “Parola di Potenza”. Quest’ultima espressione ha un senso nelle tradizioni antiche ed anche in quelle attuali, perché sottintende la possibilità dell’evoluzione dell’uomo fino ad un livello agire in maniera attiva sulle forze che agiscono sul creato. Nella scienza dei Magi a cui noi facciamo riferimento, la creazione non è un “Topos” che si colloca all’origine dei tempi, ma è una dinamica che si svolge in continuazione.
Il Segreto Massonico
Importante è notare che nella nostra istituzione l’essere umano è incompleto e la reintegrazione finale che noi vogliamo ottenere viene comunemente indicata come il ritrovamento della parola perduta. Il “Segreto massonico” nella tradizione latomistica, va sotto il nome simbolico di parola perduta, parola che, andata persa per cause accidentale deve essere ritrovata, indubbiamente il concetto di ritrovamento della “Parola Perduta” concetto onnipresente in massoneria, con tutti i suoi risvolti escatologici e magici, è affascinante ma bisogna andare oltre al simbolismo rasoterra, visto ché più che una parola, si tratta di un corpus di conoscenze di esperienze e di pratica “iniziatica”. Ciononostante ci sono anche “Parole”; A titolo di aneddoto citiamo un caso storico: la mattina del 13 maggio 1653, William Backhouse, il maestro di Elias Ashmole (che viene giustamente considerato il primo massone ufficiale) ebbe un attacco cardiaco e credette di essere in punto di morte, lo chiamò a sé e gli rivelò “il segreto per compiere l’opera alchemica”, ce lo dice lo stesso Ashmole nel suo diario. Quindi viene evidenziata la tradizione di una singola frase che può essere sillabata per trasmetterla al discepolo, tutt’oggi nelle iniziazioni e nei passaggi di grado viene sillabata la parola di passo, forse memori del caso di Ashmole e Backhouse.
Queste notizie rimandano all’analogia con la tradizione orientale dove vediamo che il discepolo, iniziato da un maestro e messo a parte delle segrete cose, riceve una frase un “Mantra” che è individuale, solo per lui e gli viene detto in un orecchio perché nessun altro deve ascoltare questa “formula magica”, essa ha una particolare tonalità vibratoria in grado di mettere in moto energie sottili che portano all’evoluzione del discepolo. Similmente esistono in alchimia ed in massoneria, che da essa deriva numerose parole, nascoste nelle pieghe del rituale. Molte parole hanno un significato che va aldilà della loro influenza fonetica o del loro significato antropologico. Ma torniamo all’inizio, la conoscenza iniziatica è una acquisizione complessa che va percepita non solo intellettualmente ma con ogni parte del nostro essere quindi necessita di uno studio approfondito e di una applicazione costante, se ne deduce che quella che viene insegnata, è la via attraverso cui ottenere il risultato perseguito, non è un percorso per pigri. Un maestro può però insegnare al discepolo le scorciatoie per permettere di compiere il salto ed ottenere il raggiungimento di un livello superiore.
Nell’arte muratoria, durante i lavori nel Tempio ci confrontiamo continuamente con delle raffigurazioni simboliche queste raffigurazioni sono degli emblemi, un emblema consiste in una costellazione di simboli che costituiscono un discorso articolato e complesso per indurre nell’adepto la comprensione di qualcosa di più grande della mente umana. Quando noi con l’aiuto dell’intuizione esploriamo un simbolo non facciamo altro che meditare nella accezione orientale, pratichiamo quello che gli indiani chiamerebbero “Dhyana” atto in cui una concentrazione superficiale cede il passo ad un flusso costante di consapevolezza verso l’oggetto della meditazione, la successione degli eventi porta alla contemplazione dove c‘è la completa fusione tra l’osservante, l‘oggetto e l‘atto stesso di osservare. Ad esempio nel Tempio dell’Arco Reale noi possiamo notare la somiglianza con altre simbologie, ad esempio l’Adamo Cadmon della Kabalà lo studio attento dei vari simbolismi non è solo intellettuale perché a poco a poco questo induce in noi una consapevolezza che viene dal profondo di noi. Questo induce una percezione nuova che è pre-logica e che comporta una sorta di fusione con l’emblema.
Questo ci eleva al di sopra del normale stato di coscienza e ci permette di acquisire una conoscenza al di sopra della normale portata della mente umana, possiamo paragonare questa situazione a quella della ricerca zen dove il cercatore cerca di capire che cosa è lo zen, ma lo zen non è acquisibile attraverso le parole, e può essere compreso solo dopo la molta pratica e l’esperienza esplosiva del “Satori” che è un pò come l’illuminazione sulla strada di “Damasco”. Dunque il fratello ha acquisito una conoscenza che non è esprimibile a parole anche se viene normalmente indicata come il “Verbo” “la Parola” “la Parola perduta”. Questa conoscenza non è ora comunicabile agli altri, perchè il fratello si trova ad un livello diverso, e per poter comunicare questo segreto bisogna che gli altri si elevino a questo livello acquisendo quella conoscenza, ma ora non è più necessario comunicarla perché anche l’altro la conosce